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Emanuele Pirella: il padre del copywriting italiano

Cercando online la definizione di copywriter se ne trovano diverse varianti, non tutte complete, qualcuna molto fantasiosa.
Il copywriter, semplificando, è il professionista di comunicazione che si occupa del copywriting, ossia colui che cura i contenuti, che scrive i testi e che oggi li rende adatti al web. In questo articolo parleremo di colui che è stato definito da Mark Tungate, giornalista britannico esperto dei media e del mondo pubblicitario, il padre del copywriting italiano: Emanuele Pirella.

Chi era Emanuele Pirella

Siamo a Milano, alla fine degli anni ’60, quando grandi masse di popolazione lasciano le campagne, impattano con nuovi stili di vita e, di conseguenza, con nuove esigenze di consumo. In Italia inizia un’effervescenza sociale mai vista prima, che permette alla pubblicità di crescere in qualità. Questo succede anche se il Paese sta vivendo un periodo all’insegna dell’austerità successiva alla crisi economica, che mal si sposa con il mondo dei consumi. Negli stessi anni, sempre sulle rive del Naviglio, sale alla ribalta Emanuele Pirella, il giovane direttore creativo di Agenzia Italia/BBDO. Carismatico, severo, ironico e appassionato, Pirella è uno dei più grandi pubblicitari italiani di sempre.

Nato nel 1940 a Reggio Emilia e milanese d’adozione, consegue la Laurea a Bologna in Lettere Moderne, ma la sua vita professionale è suddivisa tra la sua attività di pubblicitario e quella di autore di satira. È il fondatore dell’agenzia pubblicitaria Pirella Göttsche, che oggi si chiama Lowe Pirella, e della “Scuola di Emanuele Pirella”.

“In pubblicità i dettagli non esistono.

Ogni cosa significa”

 

Un pubblicitario con uno stile unico, riconoscibile e affabile, il cui successo si concretizza a partire dal 1970, periodo che cambierà radicalmente le abitudini di consumo dell’Italia e degli italiani. Una rivoluzione a cui la pubblicità vuole e deve partecipare, ma in un modo diverso, fresco e incentrato sui bisogni di questi nuovi consumatori, un modo capace di rispondere ad essi e soddisfare le loro esigenze.

Questa aria di cambiamento trasforma il mondo della pubblicità e la visione generale del ruolo del pubblicitario, che diventa una delle professioni più ambite.


Come Pirella ha cambiato la pubblicità

Emanuele Pirella aveva una chiara idea in testa: cambiare il linguaggio pubblicitario italiano.

Ciò che si proponeva era di raccontare in chiave positiva, attraverso i prodotti che pubblicizzava, il nostro Paese, i suoi consumatori e i loro consumi.

La sua idea infatti era quella di abbandonare i vecchi, semplici e vuoti slogan come “camminate BRAND”, “mangiate BRAND”, “lavate BRAND”, e di allontanarsi dal periodo degli slogan onomatopeici, per favorire un linguaggio meno autoritario e più umano. L’umorismo era uno degli atteggiamenti pubblicitari che più utilizzava, questo perché convinto che attraverso l’ironia fosse possibile conquistare la fiducia dei consumatori, compiendo così il primo passo verso quella trasformazione che oggi è ormai quasi completamente attuata grazie all’avvento del digital: il passaggio dalla comunicazione alla conversazione.

Ma la pubblicità non era il suo unico campo d’espressione. Infatti, il mutevole clima politico e l’incertezza che accompagnava, spinsero Emanuele Pirella anche a scrivere delle strisce di satira politica di enorme successo per Il Corriere, Linus, La Repubblica e L’Espresso, sostenuto da un collega illustre: l’artista Tullio PericoliPirella, attraverso i suoi lavori, sia per quanto riguarda le strisce satiriche che per la comunicazione di prodotto, cercava di unire la comunicazione alle persone.

In pubblicità è indispensabile comunicare ed esprimere pienamente la natura umana, dove l’oggetto non sono le merci, ma le idee e i valori

 

Sono infiniti i suoi spunti e le vittorie in termini di comunicazione, come l’idea geniale di utilizzare il proprietario di un’azienda per pubblicizzare i tortellini che produceva. Questo esempio di self-brand ambassador è il clamoroso caso di successo di Giovanni Rana.


Il punto Pirella

Il ruolo della punteggiatura in advertising sembra un argomento da nerd della grammatica. Invece, tra la pubblicità e il più famoso segno di interpunzione forte, c’è sempre stato un rapporto molto stretto, spesso ossessivo.

Chi ha lavorato o lavora in un’agenzia pubblicitaria conosce sicuramente l’avversione di alcuni art director per il punto, il quale viene puntualmente accusato di “sbilanciare l’impaginazione”.

Da sempre però i titoli degli annunci pubblicitari, a differenza di quanto avviene nei quotidiani e nelle riviste, vengono scritti con il punto alla fine. Questo perché, a differenza dei titoli dei quotidiani, non sono sufficientemente esplicativi, ma sono l’introduzione al discorso che la marca costruisce con il proprio utente.

La pubblicità non crea niente,

dà forma eccellente a idee forti.

 

Il punto finale parla chiaramente all’utente, indicando come si tratti di una porzione di discorso.

In Italia questa tradizione, nata nell’advertising oltremanica, è stata portata avanti da Emanuele Pirella. La sua abitudine venne tramandata di copywriter in copywriter all’interno delle agenzie in cui dirigeva il reparto creativo con una tale veemenza da venire rinominato proprio Punto Pirella.


I celebri slogan di Emanuele Pirella

L’impronta era chiaramente riconoscibile, infatti i lavori che uscivano in quegli anni, da Agenzia Italia prima e da Pirella Göttsche poi, avevano un loro spirito, una loro voce, una loro capacità espressiva peculiare.

“Chi mi ama mi segua”

No, non è un plagio di dimensioni bibliche. Il celebre e immortale lo slogan “Chi mi ama mi segua”, seguito a breve distanza da “Non avrai altro jeans al di fuori di me”, uscirono entrambi dalla penna di Pirella per il lancio dei jeans Jesus e vennero abilmente abbinati alle fotografie di Oliviero ToscaniCampagne che all’epoca fecero molto discutere vista la rivisitazione in salsa commerciale di citazioni bibliche, unite a conturbanti fotografie di fondoschiena femminili strettamente fasciati da jeans. Aspramente denunciato anche da Pier Paolo Pasolini, lo scandalo per le campagne fu solo iniziale, perché seguito da un importante successo commerciale.

“Nuovo? No, lavato con Perlana”

“Che morbido! È nuovo? No, lavato con Perlana” Chi, tra i nati prima del 2000, può dire di non ricordarsi questo slogan?
Henkel voleva lanciare un detersivo innovativo, rispettoso della lana, e questa fu la risposta di Agenzia Italia. L’unione delle forze di Michele Göttsche, Emanuele Pirella e Annamaria Testa, diede vita a questa perla di copywriting, facendolo diventare un vero e proprio tormentone.

“Banana Chiquita. 10 e lode”

 

Uno degli slogan più longevi della pubblicità italiana: semplice, immediato e di facile comprensione.
Totalmente in dissonanza con la regolare comunicazione di beni di consumo alimentare, il claim ha superato diversi decenni. Cose che spesso succedono in pubblicità: quando le idee hanno valore diventano immortali.

“O così, o Pomì!”

Uno slogan che, nel corso degli anni, è diventato di utilizzo comune e quotidiano anche senza il riferimento al prodotto, impiegato per esprimere il concetto “o ti accontenti o non se ne fa nulla”.
“O così, o Pomì” è l’esempio perfetto di declinazione della sua filosofia: una comunicazione che non solo coinvolge, ma comprende il suo pubblico, gli dà nuove leve comunicative e unisce le masse.


Cosa ci ha insegnato Pirella

Pirella voleva recuperare la dialettica della pubblicità, facendola diventare conversazione con il suo pubblico, trasformando un consiglio in una battuta, rendendo piacevole anche la pausa pubblicitaria.

Questo perché le sue réclame erano più articolate di quelle dei suoi predecessori, più divertenti, più sagaci, avevano la capacità di far ragionare il consumatore, anche solo per capire la battuta o il riferimento. E in questo modo non solo la comunicazione rimane più impressa, ma responsabilizza il consumatore, lo rende parte attiva in una conversazione con la marca, perché ci si rivolge a lui in maniera matura e adulta.

Una strada attuale e ricca di insegnamenti per chi fa il mestiere del comunicatore, una strada che ancora oggi è importante percorrere quotidianamente.

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